Da questa emergenza occorre allora uscirne rimettendo al centro del dibattito politico la casa come diritto, non come merce per la riproduzione del capitale, insistendo innanzitutto sulla distribuzione della proprietà immobiliare nel mercato degli affitti e cominciando a chiedersi qual è il suo livello di concentrazione, ovvero quante case possiede ogni proprietario. Questo smonterebbe la retorica del “piccolo proprietario” che continua a dominare gli interventi del governo e dei commentatori in materia di politiche abitative. Tuttavia, i dati sulla concentrazione degli immobili in locazione sono pressoché inesistenti. Stando a un’indagine dell’Agenzia delle entrate del 2019, per esempio, sono circa quattro milioni e mezzo gli immobili in Italia di cui non si conosce l’utilizzo. Sono tutti di proprietà di “persone non fisiche” e con finalità di investimento; è più che ipotizzabile che siano destinati al mercato degli affitti, anche se lo stato non ha modo di conoscere il loro uso. Di contro, si stima che solo un terzo dei locatori siano piccoli proprietari. Tutto ciò delinea uno scenario del mercato delle locazioni come importante settore di investimento per i proprietari di immobili che finiscono con l’essere i principali beneficiari delle politiche di cura e rilancio previste dal governo. I decreti di marzo e maggio sembrano contribuire a rafforzare il regime di proprietà immobiliare senza curarsi del costo sociale post-Covid19, che promette di essere devastante per chi vive in affitto, cioè la parte più precaria del paese.

un articolo di Emiliano Esposito
disegno di Salvatore Liberti